Questo malessere, questo dolore o questi elementi che sfuggono al nostro controllo ed alla nostra naturale capacità di far fronte alle difficoltà, possono trasformarsi- dentro di noi- in blocchi, in conferme di incapacità, in solitudine, in senso di profonda infelicità ed insoddisfazione.
Nell’ambito della coppia, della relazione con i figli o nella famiglia tutto ciò può trasformarsi in profonda incomunicabilità e sensazione di lontananza ed incomprensione. Giorno dopo giorno si sedimentano solitudine, tristezza e lontananza che a lungo andare allontanano le persone o creano storie familiari dolorose…
Si possono adottare comportamenti e pensieri tesi ad allontanare il problema od a nasconderlo. Si può pensare che “poi passerà!“, senza valutare che una ferita infetta o mal cicatrizzata non può semplicemente scomparire. Rimane dentro di noi, nelle nostre relazioni e nella nostra visione del mondo. La stessa visione del mondo che passeremo ai nostri cari e ai nostri figli.
In quest’ottica risulta ancora più importante cogliere il messaggio “positivo” del disagio psicologico, il suo invito al cambiamento. Poter ascoltare la complessità di quello che la sfera emotiva racconta, senza richiuderla subito.
Ancora una volta lo psicoterapeuta ha la funzione, non solo di condividere la difficoltà del percorso (sia umanamente che attraverso specifiche conoscenze delle tematiche emotive), ma soprattutto quella di sostare insieme al paziente al bivio di fronte al quale egli si trova. Il bivio della sua vita.
Da un lato la vecchia strada, conosciuta ma che può farlo perdere in mezzo al bosco, dall’altro la nuova strada, ignota e tutta da costruire.
Poter sperimentare il piacere della costruzione della propria strada: questa è l’unica motivazione che permette un reale cambiamento. Nella propria vita, insieme ai propri cari, nelle proprie relazioni affettive.
Il “ritiro” di Giovanni è effettivamente preoccupante (da scuola e dall’ambito delle amicizie). Sembra anche un ritiro affettivo: in seduta parla poco e si dimostra poco vitale.
Resiste solo l’attività di calcio. Da un anno il ragazzo è stato scelto per entrare in un’importantissima squadra giovani della sua città (una squadra effettivamente, nel panorama nazionale, molto importate). Giovanni è quindi una “promessa del calcio”.
La mamma segue con molta passione questo ambito della vita di Giovanni, ha stretto relazioni con gli altri genitori e accompagna il figlio ai lunghi allenamenti quotidiani. Questo ci fa capire meglio il “ritiro” del ragazzo da tutti gli altri ambiti della normale vita di un adolescente e si capisce anche perché la coppia dei genitori si sia così sbilanciata: uno preso esclusivamente dall’ambito lavorativo e l’altra soltanto dall’ambito prestazionale di questa “giovane speranza” di figlio.
Il bivio di fronte al quale questa famiglia si trova è quello di trovare una strada alternativa, diversa. Una strada che consenta di riannodare le fila emotive per permettere al papà di rientrare nella sua famiglia, alla mamma di ridimensionare sé stessa rispetto alle aspettative sul figlio ed a Giovanni di diventare un adolescente “normale”, con i giusti pesi sulle spalle.
Nelle storie non c’è giusto o sbagliato, c’è quanto si è motivati a cambiare, a cercare e a costruire altro. E non è sempre facile.
In questa storia ognuno ha continuato per la propria strada, nella propria vita. Forse perché la posta in gioco era troppo alta. Forse perché il cambiamento era prematuro.
Il mio compito, il compito del terapeuta, è anche quello di fornire strumenti di lettura, che magari non serviranno nell’immediato ma che in futuro potranno essere utilizzati da chi, avendoli conosciuti, si sente ora più pronto e, quindi, più capace di cambiare.